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GIANMARIA

Sono Gianmaria, non mi è facile raccontare di me. La mia malattia mi accompagna ormai da più di
vent’anni e per me è stato difficile accettare che quello che consideravo il mio modo di essere fosse
in realtà un disturbo serio.
Sono andato via di casa all’inizio dell’Università, reduce da una rottura con la mia prima ragazza, che
mi ha lasciato una profonda cicatrice, da cui ho impiegato anni per riprendermi. Ho intrapreso uno
stile di vita che all’inizio consideravo fosse solo sregolato; mangiavo e bevevo molto, non facevo
attività fisica e così sono peggiorati sia il mio stato fisico che quello psichico.
Ho concluso gli studi universitari senza grossi problemi, ma quando sono entrato nel mondo del
lavoro, non riuscendo ad ottenere i risultati sperati, mi sono sentito in colpa. Mi sembrava di non
essere in grado di ripagare i sacrifici dei miei genitori, anche se loro non mi hanno mai fatto pesare
nulla. Ero tuttavia molto severo con me stesso, mi sentivo inadeguato e continuo a provare questo
sentimento, soprattutto adesso che a quarant’anni sono senza lavoro, senza una casa né una compagna
accanto.
Non sapevo cosa fosse un Binge Eating Disorder, ho compreso di avere questo problema sette-otto
anni fa, dopo il mio primo ricovero. Questa diagnosi ha però ulteriormente alimentato i miei sensi
di colpa. La mia personalità mi porta ad avere delle dipendenze, dal cibo, dalle sigarette, dall’alcool,
dal sesso, dai videogiochi. Fortunatamente non mi sono mai avvicinato alla droga. Anche l’amore è
stato per me una dipendenza, in quel caso non sessuale ma affettiva: avevo un disperato bisogno
di aggrapparmi a qualcuno.
Adesso sento che la vita mi è scivolata fra le dita e non capisco che fine abbia fatto Gianmaria, so
che dovrei imparare a volermi bene, purtroppo non ci riesco ancora. Sento ancora il bisogno di
colmare i vuoti con il cibo, che rimane la sostanza più facile da procurare ed anche la dipendenza
socialmente più accettata. Sicuramente è l’eccesso di sensibilità che crea questa situazione, percepisco
lo stesso anche nelle persone che incontro durante il mio percorso di cura.
Amo esprimermi attraverso la pittura, perché mi permette di mettermi a nudo senza espormi. È un
linguaggio che ognuno può leggere a modo suo, quello che intendo veramente significare rimane
a me. Ultimamente alcune persone si sono mostrate interessate ad acquistare i miei quadri, una
cosa inaspettata, di cui dovrei essere compiaciuto e invece rimango indifferente. Purtroppo non
provo più emozioni.
Avevo in programma la creazione di un centro di ergoterapia, ossia un centro occupazionale per
persone con fragilità, ma purtroppo anche questo progetto è fermo perché ho difficoltà a credere
di poter concludere qualcosa.
Sento di dover ringraziare i miei genitori, che hanno fatto e fanno ancora tanto per me. A volte ho
dato loro l’impressione che mi dessero fastidio, la verità è che non mi sento in pace con me stesso e
non trovo quindi pace nemmeno con loro.

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