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LA SOLITUDINE DI MONIA

Tutto è cominciato tre anni fa, Giada era ormai cresciuta e non mi permetteva di vederla senza vestiti.
Io sono Monia, sua madre, avendo notato che era dimagrita, con la scusa di controllare la sua
schiena che in passato aveva avuto qualche problema, sono entrata in bagno dopo che si era fatta
la doccia. Mi si è gelato il sangue da tanto che era scheletrica. Lei ha cercato di rassicurarmi, poi ha
accettato di farsi seguire da specialisti. Anziché migliorare però la situazione è precipitata, ed oltre
a mangiare pochissimo ha iniziato anche con l’iperattività, persino a scuola.
Non ho ancora ben compreso le dinamiche della sua malattia, a cui ormai era sottomessa. Giada
pretendeva di controllare tutto quello che mangiava e, nel contempo, controllava ciò che mangiavo
io. Le mie razioni dovevano essere sempre il doppio delle sue, era come se lei si nutrisse attraverso
me. Se obiettavo che non potevo mangiare così tanto, lei piangeva, esattamente come un neonato.
La malattia la controllava e, attraverso di lei, controllava anche me. Provavo una rabbia immensa
mentre leggevo nei suoi occhi paura, indecisione, ossessione.
Dovendo lavorare ho trovato una cooperativa, gestita da religiosi, dove la tenevano occupata e la
seguivano. Sono poi iniziati i ricoveri; una prima volta al San Raffaele, ma dopo appena un mese
dalla dimissione è nuovamente peggiorata. Così siamo tornate in ospedale e questa volta Giada è
stata alimentata con un sondino naso gastrico. Poi purtroppo è scoppiata la pandemia ed è stata
dimessa. In quel periodo è diventata completamente dipendente da me, sembrava regredita a una
bambina di due anni. Mi seguiva dovunque, anche in bagno, abbiamo praticamente vissuto in simbiosi.
Durante l’attesa del ricovero a Villa Miralago, un giorno in piena crisi, mi ha detto che voleva buttarsi
dal balcone. L’ho accompagnata all’ospedale di Bergamo dove mi hanno invitata sgarbatamente a
non presentarmi più, perché non trattavano questi problemi. Per fortuna invece al pronto soccorso
dell’ospedale di Monza ci hanno accolte con molta umanità.
Ci si ritrova completamente soli, gli altri non capiscono cosa stai passando, perfino alcuni genitori
restano totalmente incapaci di capire. Del resto, fino a poco tempo fa non ne sapevo molto nemmeno
io, eppure lavoro in un ospedale dove c’è la chirurgia bariatrica, che opera soggetti che pesano
anche duecento chili Ora ho imparato a non giudicare, mi infastidiscono i commenti e le battute
fuori luogo, che probabilmente ho fatto anch’io in passato; la malattia di Giada mi ha insegnato a
guardare la vita da una prospettiva differente. Oggi trovo il tempo per cose che prima non ritenevo
importanti, apprezzo anche i piccoli gesti, una parola, uno sguardo, un abbraccio.
Dopo l’ingresso a Villa Miralago, a causa della seconda ondata di pandemia, non abbiamo più potuto
abbracciarci, è stato veramente duro poterla confortare solo con brevi telefonate. Adesso non
vedo l’ora che torni a casa, grazie anche ai gruppi di sostegno ho scoperto tante cose riguardo al
mio ruolo di genitore e mi sento una madre diversa.

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