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ANORESSIA, i blog che si nascondono su WhatsApp: «Vomita o prendi una purga»

In chat non ci sono criminali, ma ragazze con un disagio profondo. Il web fotografa la realtà, non la amplifica. C’è rischio emulazione

NADIA FERRIGO CAROLA FREDIANI

«Domenica: 200 calorie al massimo. Lunedì: digiuno. Martedì: 500 calorie al massimo». È il mortifero decalogo di una «dieta» pubblicata su un blog italiano pro-anaDove “ana” sta per anoressia. Un fenomeno di cui si parla poco ma che è in crescita. Sono tre milioni gli italiani colpiti da disturbi del comportamento alimentare, secondo stime del ministero della Salute: bulimia, anoressia e alimentazione incontrollata. Con una novità: casi di bambine di dieci-dodici anni, riferiscono gli esperti.

Un fenomeno che nella sua veste digitale si imbosca sempre più spesso in chat chiuse, dove i partecipanti si spalleggiano a vicenda. Ma criminalizzare o censurare, concordano alcune analisi, è un’arma a doppio taglio. Rischia di far nascondere ancora di più chi avrebbe bisogno di cura. Mentre il punto è riuscire a raggiungere queste persone offrendo servizi adeguati. In Italia però i centri multidisciplinari dedicati sono distribuiti a macchia di leopardo, solo in alcune regioni; e soprattutto sono ancora pochi.

Quella «dieta» impossibile citata all’inizio si riferisce ai membri di un gruppo WhatsApp, costituitosi a partire da un blog. Tra i commenti al post ci sono quelli di tante ragazze, che chiedono di entrare nel gruppo. Spesso, ignorando qualsiasi cautela, scrivono pubblicamente anche il proprio cellulare. I blog pro-ana non sono una novità. Ma sono cambiate le modalità di comunicazione fra gli utenti. Così, la diffusione di gruppi chiusi, favorita dall’adozione di massa di app di messaggistica, desta alcune preoccupazioni: il livello di partecipazione e coinvolgimento aumenta, rimanendo nascosto alla vista. Invece, è cruciale riuscire a raggiungere prima possibile gli utenti che manifestano questi disturbi: se ci si muove entro il primo anno le probabilità di guarigione arrivano al 90 per cento.

UN’EPIDEMIA SOCIALE

Non è facile perché questi problemi sono spesso sottovalutati. Eppure l’anoressia, e in generale i disturbi del comportamento alimentare, sono ormai «un’epidemia sociale», sostiene Laura Dalla Ragione, direttore della rete per i disturbi del comportamento alimentare dell’Usl Umbria 1, considerato un luogo d’eccellenza, nonché referente del ministero della Salute su questi temi. Le ragioni di questa espansione sono culturali e sociologiche. «I disturbi alimentari sono una nuova forma di depressione, perché il corpo è diventato un nemico», commenta Dalla Ragione. «E i 3 milioni sono un dato sottostimato. Il problema è che mancano ampie campagne di prevenzione, così come strutture specializzate sul territorio per intercettare i sintomi agli esordi. Di certo, abbiamo assistito a un abbassamento dell’età, per cui arrivano pazienti anoressiche di 10 anni. Ma anche casi di quarantenni che sviluppano il disturbo per la prima volta. E progressivamente crescono i maschi».

Ma sono le ragazze ancora la maggioranza. Come quelle che popolano i gruppi di chat. Trovarli non è difficile, lo ha fatto anche La Stampa. Dopo qualche ricerca online, ci imbattiamo in un forum con una richiesta chiara: «Creare un gruppo WhatsApp per aiutarsi a vicenda». Mandiamo una richiesta all’amministratrice del gruppo, che usa un nickname. Lei ne parla con le altre, per valutare la nostra motivazione, e siamo dentro. Ci sono una decina di ragazze, tra i 18 e i 25 anni, di diverse parti d’Italia.

Da quando c’è stato il caso di una diciannovenne di Porto Recanati denunciata per istigazione al suicidio dalla madre di una quindicenne di Ivrea, che aveva scoperto sul cellulare della figlia dei messaggi con le istruzioni su come e quando vomitare, l’anoressia è tornata in primo piano, insieme a blog, siti e gruppi. Ma criminalizzare rischia di essere controproducente.

NON È UN FENOMENO CRIMINALE

«La rete è un terreno di libertà dove si può trovare tutto. I blog cosiddetti pro-ana, ma anche quelli che parlano di disturbi alimentari e atti di autolesionismo sono sempre esistiti», spiega Nunzia Ciardi, a capo della Polizia Postale. «Da qualche tempo il blog funziona come un punto d’incontro, per poi spostarsi su gruppi privati. Possiamo chiedere la chiusura di alcuni account sulla base della loro pericolosità sociale, perché ledono dei diritti fondamentali oppure se sono contrari alla privacy, per la tutela dei minori. Non si tratta però di un fenomeno criminalema della manifestazione di un profondo disagio che può avere delle conseguenze perverse. Anche se trovare una fattispecie di reato da applicare può essere utile, la repressione non risolve il problema». Ogni tanto i politici – è successo in Francia e in Italia – avanzano proposte di legge per oscurare questi siti, o per introdurre il reato di istigazione all’anoressia. Ma stiamo parlando nella maggior parte dei casi di fenomeni auto-organizzati. In cui anche e soprattutto chi coordina blog e gruppi è affetto da disturbi. Ci sono poche analisi al riguardo ma una delle più interessanti è quella condotta nel 2015 da Paola Tubaro, ricercatrice del Cnfr a Parigi, nell’ambito di uno studio franco-inglese con interviste a utenti di siti pro-ana. Cosa è emerso? «In primo luogo, si va sul web quando si hanno già dei problemi e non viceversa», commenta Tubaro. «Ci si sente soli su quella questione e si cerca una qualche forma di supporto e testimonianza, per quanto problematica. E poi, abbiamo visto che quando arrivano ondate repressive queste persone si allarmano e cercano di nascondersi, ma non smettono di avere il disturbo». In conclusione, spiega ancora Tubaro, la sfida vera è arrivare agli autori e agli utenti di questi siti e gruppi.

Dello stesso parere anche Maria Ela Panzeca, coordinatrice del centro per i disturbi del comportamento alimentare dell’Asl a Lanzo Torinese. «I blog e i gruppi sono un epifenomeno. Chi si rivolge a loro è già dentro al problema, anche se sicuramente c’è un rischio emulazione. Ma se si oscurano siti ne nascono poi di nuovi. Il punto è dare risposte nella realtà, più che sul web», commenta Panzeca. Il riferimento è all’insufficienza di centri dedicati sul territorio. Ci sono pochi luoghi di cura multidisciplinare, con figure miste, dalla nutrizionista alla psicologa che siano saldamente coordinate; poche residenze o comunità per il recupero post-ospedaliero; liste di attesa. Eppure tutti confermano l’importanza di individuare e curare le persone agli esordi. «Noi lavoriamo molto con le famiglie, e ricoveriamo poco», aggiunge Panzeca. «Questa è una patologia che si cura insieme ai genitori». E spesso sono i genitori che devono agire. Come ha fatto una mamma piemontese che oggi è parte dell’associazione «In punta di cuore», nata proprio a Lanzo. «Di mia figlia me ne sono accorta dal dimagrimento eccessivo e dal comportamento a tavola, in cui il cibo veniva sminuzzato, i carboidrati eliminati», spiega la donna. «E quando provavamo a parlarne, c’era un muro. Allora l’abbiamo convinta ad andare assieme in questo centro specializzato a Lanzo. Da tre anni siamo seguiti e lei sta molto meglio, anche se è un percorso lungo».

L’ESTETICA MALATA SUI SOCIAL

Un percorso che si scontra con un bombardamento mediatico. Sui social, Instagram in particolare, le fotografie condivise raccontano un’estetica della magrezza inquietante e però molto apprezzata: i profili che condividono scatti di giovani ridotte a pelle e ossa, in pose glamour e che fino a qualche tempo fa avremmo anche potuto vedere sfilare sulle passerelle, ricevono centinaia e centinaia di commenti positivi ed estasiati. «Con gli adolescenti vietare non è un’arma vincente», commenta ancora Ciardi. «La generazione dei genitori si comporta ancora da neofita della tecnologia e questo gli impedisce di assumere il ruolo di adulti di riferimento. I ragazzi hanno gli strumenti tecnologici, ma non quelli psicologici per confrontarsi con quel che si trova in rete». Allora come combattere questo fenomeno? «L’unica arma efficace è la prevenzione, come facciamo quando andiamo a parlare con i ragazzi, nelle scuole. Insegnanti, genitori e le altre figure di riferimento devono essere preparati a cogliere i segnali di disagio e coinvolgere i professionisti».

IL BUSINESS DEGLI INTEGRATORI

E poi c’è il business di prodotti e integratori, spesso di provenienza a dir poco dubbia. Così, non solo ci sono schiere di Youtuber specializzate in make-up che periodicamente sponsorizzano diete e dimagrimenti tanto improbabili quanto malsani. Ma anche pubblicità online, agganciate alle parole di ricerca pro-ana, che propinano gocce o pillole mirabolanti, prodotte non si sa bene dove, attraverso siti mascherati da articoli giornalistici. Con tanto di foto della (finta) giornalista prelevata da comuni archivi di foto online. Con dichiarazioni di inesistenti nutrizionisti. Tutto su siti posticci registrati anonimamente.

Pillole di cui si parla anche sui blog pro-ana. «Le più comuni sono le cosiddette kelp pillsle pillole di Cayennele capsule di aglio e le pillole di caffeina», spiega Simona Barcella, ricercatrice del dipartimento di Neuroscienze dell’università di Torino, autrice di una ricerca sul tema con il professore Fabrizio Schifano dell’università di Hertfordshire, esperto della vendita online di droghe. «Alcuni siti pro-ana non solo offrono la possibilità di ordinare online alcuni prodotti dimagranti, ma addirittura di poter ricevere una dieta “su misura”». Anche sull’account creato ad hoc su Instagram, con cui abbiamo seguito profili come Lovethatskinnylife, Baabyskiin, ThinAngel e altri, tra i post sponsorizzati compaiono diversi integratori pensati per dimagrire più in fretta, segno che quel segmento di pubblico è particolarmente ricettivo per certi tipi di sostanze. Per nulla sicure.

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