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Il linguaggio del rifiuto e del niente

“No, non voglio mangiare”.

“No, non voglio ingrassare.”

“No, non voglio amare.”

“No, non voglio crescere.”

“No, non mi voglio curare.”

“No, non ho fame.”

“No, non mi piaccio.”

“No, non voglio pensare.”

“No, non ho alcun bisogno.”

“No, non ho nulla da dire.”

Il discorso di chi soffre di un disturbo alimentare non si articola soltanto tra i numeri delle Kcal degli alimenti e tra quelli scritti su quella “maledetta bilancia”, ma è soprattutto, il linguaggio del rifiuto e del niente.

Una lingua in cui la parola più parlata è il NO!

Un NO “categorico e​ imperituro”​ pronunciato con un tono talmente secco e deciso che, sembra, non lasciare alcuno spazio.

Un NO che, se l’ascoltato, narra di uno “strazio senza scampo” scandito tra proibizioni, porzioni, iper-o in-azioni e coazioni.

Un NO che è una prigione che incatena la libertà e la possibilità di ESSERE, intrappolando la persona nell’illusione che la propria auto-affermazione passi esclusivamente per la via NO. Sovvertendo totalmente il significato stesso della parola “auto_affermazione” che è quello di dico si, si a me stess*.

E allora mi/ti chiedo:

“cosa c’è dietro a quel No”?

“A cosa dici mi/ti NO”?

Il No è davvero una scelta o è una non scelta?

E così, quando sono davanti a quei No, inscritti in quei corpi e nelle poche frasi che vengono pronunciate in seduta e che sbarrano la strada della relazione e quelle della vita, dentro di me sorge un pensiero:

E se per differenziarsi occorresse passare per un’altra lingua diversa da quella stra_parlata dei NO?

La lingua del SI.

“Si” al mondo esterno e, al contempo, un “SI” a quello interno, in cui sono racchiuse le infinite forme e immagini dell’anima che, se accolte, possono far sbocciare la più autentica natura.

Un “SI” in cui è inscritta “un’altra libertà di scelta”, una libertà fatta di un nuovo discorso articolato da tanti SI che, come le perle di una collana, si infilano nel filo dell’identità e in quello della vita.

Simona Pisu, psy ananke Cagliari

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