L’infanzia è stato il periodo più bello della mia vita. Sono cresciuta in mezzo alla natura, tra i campi e un sacco d’amore.
Mio padre ha un’azienda e mia madre lavora con lui, dopo la scuola fino ai dodici
anni andavo da una cugina, era la mia seconda casa.
Mi chiamo Vanessa ed è stato durante l’adolescenza che l’arcobaleno è diventato improvvisamente grigio.
Probabilmente sono rimasta bambina più a lungo rispetto alle mie coetanee, poi in seconda superiore ho cercato di cambiare la mia immagine e i miei atteggiamenti, per piacere ad un ragazzo e per sentirmi uguale alle altre; mi sono trasformata, diventando l’opposto della classica “brava ragazza”.
Ho cambiato modo di vestire e di truccarmi, senza mai domandarmi se lo facevo per me stessa.
Certo, un cambiamento doveva comunque avvenire. Solo che in quel momento la trasgressione non mi apparteneva: andare in discoteca, bere e fumare erano comportamenti che adottavo per non sentirmi invisibile.
Poco dopo sono iniziati i problemi col cibo, quando sulla bilancia ho visto un peso diverso da quello che mi aspettavo. Via la pasta, i dolci; all’inizio i miei genitori erano contenti perché vedevano che
mangiavo in modo più sano; gli amici si meravigliavano che sapessi resistere a certe tentazioni ed io mi sentivo forte, tenace. Era l’unico autocontrollo che mi riusciva bene.
Sempre e dovunque, pensavo solo alla malattia, che mi assorbiva completamente, ero tutt’uno con lei.
Poi, un giorno, la restrizione si è trasformata in bulimia: avevo scoperto che potevo cedere alla tentazione di mangiare, senza controllo, perché esisteva un rimedio…
Ero in trappola. Mentivo tantissimo in quel periodo, soprattutto a me stessa. Ero ambivalente con i miei genitori, di cui desideravo l’aiuto ma che nel contempo consideravo un intralcio.
Spesso si arrabbiavano con me e solo a posteriori ho capito che erano preoccupati e non sapevano come intervenire.
Adesso ho imparato a scindere i pensieri sani, quelli di Vanessa, da quelli malsani della malattia, anche se a volte vado ancora in crisi.
Se affermo che questo percorso richiede tanta forza ho quasi l’impressione di attribuirmi dei meriti che non ho.
Mi sentivo molto più forte quando mettevo la testa nel wc; anche se, riflettendo meglio, un anno fa non sarei riuscita a compiere questi progressi.
Tuttavia non riesco ancora a riconoscere in me una gran forza.
Mi sembra anche di aver sprecato un sacco di tempo. Razionalmente so che non è così, che è servito a ritrovare me stessa, però non mi basta perché ho ventun anni e ho perso tante esperienze, non ho colto certe opportunità. Vedo gli amici che lavorano, che stanno comprando casa. E allora come giustifichi che, mentre loro si stanno costruendo una vita, tu stai ancora cercando te stessa?
So che anche i miei genitori pensano di aver fallito con me, e vorrei tanto che non fosse così perché non è vero: se in questo momento fossero qui li ringrazierei per aver capito e per essermi stati così vicini, direi loro quanto mi dispiace per tutto quello che hanno dovuto passare.
Vanessa
Foto di Marco Rilli