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Un abbraccio al sapore di libertà

Il Covid ha tolto davvero molto all’intera umanità, ma al contempo ha dato davvero tanto.
Perché forse due anni fa un abbraccio sarebbe stato dato per scontato, un gesto così banale che tutti si scambiano. Invece no, non è più un atteggiamento sottovalutato. L’essere umano ha la necessità intrinseca di avere contatto con l’altro, non per caso è considerato un animale sociale, vive perché si esprime con l’altro, perché nell’altro vede qualcosa di se’.
Personalmente questa situazione causata dalla pandemia mondiale mi ha distrutta, ma altrettanto mi ha costruita, ha costruito intorno a me uno scudo, mi ha resa fragile, ma più forte.

Pensavo di essere invincibile, che nulla più mi poteva toccare, per di più trascorrere questo periodo in una struttura, lontana chilometri e chilometri da casa, distante da mia mamma, dagli affetti più cari… Una parte di me si era dimenticata come fosse stare tra le braccia di chi ti ama, di chi ti ha protetto, di chi ti protegge e di chi ti proteggerà anche quando non sarà più materialmente presente su questo mondo così bizzarro.
Una cosa particolare che ricordo di quando ero piccola, avrò avuto forse un paio di settimane, mamma mi stava facendo il bagno, aveva riempito con acqua calda, ma non troppo, fino all’orlo la vasca da bagno della nonna.

Ricordo la sensazione di quel liquido che mi circondava, e non dimenticherò mai le mani di mia mamma che mi tenevano salda, con amore, con paura, con
forza, senza lasciarmi nemmeno un secondo. È così paradossale che l’ultimo contatto che ho avuto con lei è stato nove mesi fa, quando in prossimità del cancello di Villa Miralago ci siamo strette, non sapendo che quello sarebbe stato il nostro ultimo vero contatto.
Poi il governo ha bloccato l’intera Italia perché la pandemia si stava espandendo e stava mietendo vittime come una guerra.
Anche qua la guerra si è sentita, si è sentito il distanziamento sociale, si è sentito il distacco dall’intero mondo che si trova al di là di quel maledetto cancello.
Il direttore sanitario ogni qualvolta disponeva una “plenaria” era per darci brutte notizie, ci diceva che dovevamo continuare a tenere le mascherine 24h su 24h, che non avremmo visto i nostri cari, insomma non avevamo più la libertà di incontrarci, di abbracciarci, di guardarci, di accarezzarci con gli occhi e stringerci con l’anima.
Una parte di noi è morta in quella palestra quando il Dr. Modolo ci aggiornava sull’andamento della situazione causata dal Covid.
Però, come si suol dire, dopo il temporale, prima o poi, il sole torna a splendere. In noi è tornato il sorriso, si è accesa quella voglia di vivere che si era un po’ assopita, quando finalmente ci dissero che erano di nuovo permesse le visite da parte dei nostri cari e che avevano appositamente costruito questa strana “porta degli abbracci”: un pannello di plastica attaccato agli stipiti di una porta appunto, con quattro fori per far passare le braccia dall’altra parte della stanza.

A marzo 2021 ho dato l’abbraccio più bello della mia vita attraverso quello strano sportello, un abbraccio al sapore di libertà dato alla e dalla mia mamma.
Dopo 9 mesi, mi sono lasciata cullare come quella volta 21 anni fa dalle braccia della mia mamma che mi sorreggeva nell’acqua calda nella vasca della nonna. Attraverso la plastica, il distanziamento, le lacrime versate che sapevano di solitudine, è passato l’amore, l’amore che una madre ha per sua figlia che per nove mesi ha portato in grembo e che poi dopo tante fatiche è nata ed ha potuto stringere finalmente nel suo petto.

Com’ è strana la vita, dopo nove mesi di distanza, di videochiamate fredde e distanti, in quella porta di plastica è esploso l’amore, come dopo il parto, un’esplosione di amore provocata da un esserino così piccolo.
A marzo sono rinata dalle braccia della mia mamma, che ho sentito vicina come non mai anche se separate dalla plastica, la stessa plastica che sta uccidendo il mondo, a me ha ridato la vita. Ho sentito il calore, l’amore, il respiro della mia mamma, ed è stato banalmente bellissimo.
Avevo poche aspettative rispetto questa “porta degli abbracci”, pensavo non mi avrebbe mai potuto soddisfare, ma saranno stati i mesi di distanza vera, sarà stato il covid che ci ha così separati emotivamente oltre che fisicamente, che quell’abbraccio non lo dimenticherò mai come non dimenticherò mai il mio primo bagnetto cullata dalle stesse braccia che poi, dopo 21 anni, mi hanno ridato la vita; perché quell’abbraccio è stato un enorme respiro di amore fatto a pieni polmoni.
Da quando sono entrata in struttura non ho mai pianto, mai versato una lacrima, se non nel cuore in silenzio nel buio della mia camera condivisa con una sconosciuta; tra le braccia di mamma ho pianto tutte le lacrime trattenute, ho pianto amore, ho pianto paura, ma ho respirato la libertà più intensa dell’universo: quella creata dal “contatto” con mia mamma.
Arianna T.

Foto di Davide Comotti

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