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La trappola dei disturbi mentali

Sono Chiara, una ragazza timida, introversa, ma allo stesso tempo empatica verso gli altri.
Col tempo ho indossato una maschera che pian piano si è diventata parte di me. Mi chiudevo sempre di più, nascondevo tutto agli altri e a me stessa.
Tutto iniziò, in modo inconsapevole, nel 2018 quando iniziarono a sorgere dei problemi alle caviglie che mi costrinsero a fermarmi con la pallavolo che era la mia valvola di sfogo. Iniziarono una serie infinita di visite senza alcun esito.
Dopo un anno e mezzo di peregrinare da un ospedale all’altro i medici mi hanno detto che necessitavo di un intervento ad entrambe le caviglie.
Nel 2019 ho affrontato i due interventi. In quei mesi ho sofferto molto fisicamente e mentalmente e in quell’estate sono iniziate le abbuffate, che erano un modo per colmare il vuoto che sentivo.
Ho preso peso e mi sentivo sempre più inadeguata, mi odiavo, non mi riconoscevo più.
Da quel momento ho pensato che avrei dovuto mangiare in maniera più sana, ma quel sano era diventato restringere fino a togliere troppi alimenti e il peso si abbassò rapidamente.
Ma in tutto ciò io non ero in grado di capire cosa stessi facendo.
Per circa due anni andai da una psicologa del consultorio che prese subito in mano la situazione, chiamò i miei genitori e mi fissò una visita al centro DCA dell’ospedale San Paolo di Milano dove l’equipe mi prese subito in carico.
I mesi passarono e i problemi si accumularono sempre di più. Passavo la maggior parte del tempo in ospedale o a dormire anche a scuola. Non riuscivo più a fare nulla.
Il quinto anno delle superiori l’ho passato molto male, i primi due mesi avevo attacchi di panico ogni giorno, a scuola, a pallavolo e a casa. Poi mi mandarono a fare un ricovero di un mese a Villa Menni per la riabilitazione psichiatrica, dove poi mi hanno diagnosticato il disturbo da panico e agorafobia,
oltre all’anoressia e alla depressione.
Una volta tornata a casa, mi rimisi in carreggiata con la scuola, ma le cose non andarono bene. Dopo un mese di assenze feci richiesta per l’istruzione a domicilio, dove facevo sette ore settimanali in DAD. Questa modalità mi ha aiutato molto perché mi permetteva di seguire la scuola, le visite e i miei ritmi in maniera meno frenetica rispetto a prima. Ritornai a scuola solo per fare gli scritti della maturità e l’orale l’ho fatto a casa. Finendo questo percorso scolastico con 97.
Decisi di prendermi almeno un anno di pausa per riprendermi, perché nel frattempo i miei disturbi si intensificarono sempre di più fino a dover fare molti accessi in pronto soccorso.
Con difficoltà sono riuscita ad entrare in una struttura per DCA, Villa Garda, che mi sta letteralmente salvando la vita. Qui sto imparando a vivere.
Ero in una bolla fatta di problemi, confusione e mille diagnosi; nessuno riusciva a capirmi. La mia famiglia fin dal primo giorno mi ha sostenuta e mi sostiene ancora, i rapporti con loro sono cambiati in meglio, ci ha fortificati molto.
Io ero e ancora un pochino sono segnata dall’anoressia, dalla depressione, dal disturbo di panico con agorafobia, dal disturbo di personalità ossessivo compulsivo e dall’autolesionismo.
Queste sono malattie orribili che ti logorano fino a farti scomparire, ma bisogna lottare e tornare a vivere.
Perché noi non siamo la malattia, noi siamo tutt’altro.
Chiara

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