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“Fame di pane e fame di senso”

Vorrei raccontare la mia storia e quello che sento ancora, partendo da stralci del mio diario. Quando si pensa ad un problema col cibo molti immaginano una persona magrissima, che non mangia. Magari fosse stato questo il mio problema, invece era esattamente il contrario, la bulimia, che in greco significa letteralmente “fame da bue”. Essere affamate e voraci è sgraziato, assoluta- mente non femminile! E’ meglio consumare quello che si ha nel piatto con eleganza e raffinatezza piuttosto che divorare tutto e attingere anche dai piatti altrui. Desideravo poter dire che mi sentivo sazia, invece ero un incolmabile buco nero e mi abbuffavo con tutto quello che trovavo in casa. “Abbuffata”: un gesto sgarbato, selvaggio, animalesco.

Mi chiamo Lucia e suono la viola dall’età di sette anni; quando ho iniziato a stare male ho avuto un rigetto anche nei confronti della musica, forse perché l’associavo al gruppo in cui suonavo, mentre n quel momento sentivo il bisogno di isolarmi. Eppure far parte di un’orchestra mi piaceva mol- tissimo, mi sentivo come un’onda che si muove all’unisono con le altre. Sto riscoprendo adesso la musica, mi sento pronta a riprendere lo strumento.

Ho iniziato a vomitare durante una tournée , ad Atene; lì non mi abbuffavo, bevevo tantissimo caffè freddo, tremavo per la troppa caffeina: ho iniziato a vomitare e sono collassata.

Ho continuato così anche a casa. All’inizio era uno sforzo: gli occhi arrossati, la tosse, lo schifo; poi però mi guardavo allo specchio e sorridevo, come quando da piccola ero stata male a causa di un virus intestinale e, quando mi sono liberata del cibo che non riuscivo a digerire, ho sorriso sollevata. Questa pratica è diventata un rito che ripetevo anche venti volte al giorno, consapevole delle con- seguenze che avrebbe avuto sul mio corpo, che io ero pronta a sfidare.

Mi ha salvata la comunità terapeutica di Asso, è stata come una famiglia che mi ha aiutata a riscoprire anche la mia famiglia d’origine e gli amici che attendevano il mio ritorno. Era bello sapere che qualcuno mi aspettava, sia in struttura sia fuori. Affidandomi ai terapeuti ho imparato ad affidarmi anche alla vita ed alle persone che mi stanno intorno, come gli amici. Ricordo una suora che mi ha detto che anche svegliarsi la mattina è un dono, oggi gioisco anche delle piccole cose. Ho ancora degli alti e bassi, però adesso so cosa voglio diventare: studierò psicologia, perché mi affascina tutto ciò che riguarda l’umano. Mi ha molto colpita una citazione di Viktor Frankl, uno psicanalista del periodo post-freudiano che è stato internato nei campi di concentramento: “fame di pane e fame di senso”. L’uomo ha bisogno di nutrire lo stomaco ma ha maggiormente bisogno di un senso, perché esiste una fame interiore, spirituale. Io ho sperimentato personalmente questa necessità, colmavo col cibo il mio vuoto interiore quando in realtà avevo bisogno di senso.

Mi sono fatta tatuare sulla spalla un girasole perché ad Asso la mia comunità si chiamava così; ogni petalo mi ricorda le compagne di percorso, mi ricorda questa dolorosa esperienza che oggi arrivo quasi a considerare un dono, perché ho ritrovato me stessa.

Lucia

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