Vorrei partire dalla fine di questa storia anziché dall’inizio. Mi chiamo Maurizio, per mia fortuna, nei primi cinquantotto anni di vita non ho incontrato grandi ostacoli; la prima grave difficoltà è stata proprio la malattia di mia figlia Roberta, che mi ha obbligato a cambiare (o almeno a provarci) alcuni aspetti e difetti del mio carattere che credevo ormai impossibili da eliminare.
La sua malattia mi ha lasciato spiazzato, mi sono sentito inadeguato, impotente. Sebbene come medico abbia affrontato tante situazioni difficili, quando si è trattato di gestire il suo problema non ho saputo farlo. E benché abbia imparato a gestire le eventuali sconfitte professionali, perché non sempre le cose possono andare bene, è stato tragico accettare una sconfitta come padre. Purtroppo, spesso il mio senso di impotenza si trasformava in rabbia, un sentimento che non aiutava nessuno.
In questi casi c’è sempre fortunatamente qualcuno che prende in mano la situazione; nel nostro caso è stata quella che io definisco “la strana creatura”, la mamma, colei che è pronta a fare qualunque cosa per i figli, superando sia le difficoltà pratiche che quelle burocratiche di chi si appella alla scarsità di risorse per negare aiuto. Lei si è calata nel baratro in cui nostra figlia era precipitata e le è stata accanto.
Io, che come tanti colleghi conosco poco i problemi della sfera psichica, non riuscivo a fare comprendere a mia moglie che, se ero stato in grado di aiutare mia figlia quando ha avuto altri problemi di salute, ero completamente bloccato di fronte a questa situazione. Lascio immaginare l’occhiata che mi ha lanciato quando ho dichiarato che, piuttosto che vedere nostra figlia per sempre in quello stato, avrei preferito sapere che non ci fosse più.
Fortunatamente abbiamo trovato persone di spessore professionale e umano fuori dall’ordinario, che ci hanno aiutato a trovare la soluzione migliore per Roberta, che oggi si trova a Villa Miralago a seguire un percorso strutturato di riabilitazione. Quindi il merito non va a me ma a sua madre ed anche a sua sorella, che le sono state vicino, e a tutti coloro che, ciascuno con le proprie competenze, hanno provato con molta pazienza a fare sì che Roby desse almeno qualche cenno di volontà di risalire la china.
Da quando Roby si è ammalata mi sembra che il tempo abbia perso la sua linearità. Ci sono stati momenti di vuoto, di stallo, quando non vedevo risultati dal percorso di cura. In altri momenti il tempo mi è servito per confrontarmi con i pensieri che si affastellavano nella mia mente, concentrata nella ricerca degli errori commessi. Poi finalmente arriva il momento in cui vieni a patti con la storia di tua figlia e con te stesso.
Credo di essere cambiato interiormente, ci sono anche state tante persone che, magari non lavorando in modo diretto su di me, mi hanno permesso di acquisire determinate capacità di rivedere me stesso. Manca però la cosiddetta prova del nove, ovvero quando Roberta tornerà e magari avrà ancora dei momenti difficili. Confido in un duplice miracolo, che alla fine del percorso sia io che Roberta saremo due persone differenti.
Maurizio
Foto di Marco Rilli
Immagine di copertina: Il tempo, lo sbaglio, lo spazio di Gino De Dominicis